Le Donne maltrattate dalla Politica
Tra circa un mese diventerà effettivo lo stanziamento di 17 milioni di euro previsto dalla legge 119/2013 (la cosiddetta “legge contro il femminicidio”) per il biennio 2013-2014. I fondi sono destinati alla prevenzione e alla lotta contro la violenza sulle donne. Ma a chi andranno le risorse stanziate e come ne beneficerà la lotta alla violenza sulle donne? Il 67% del finanziamento sarà gestito dalle Regioni e solo il 33% andrà ai centri antiviolenza e case rifugio che riceveranno circa seimila euro ciascuno per il biennio. Una cifra irrisoria e del tutto insufficiente a coprire le necessità effettive dei centri, a incrementarne la possibilità di intervento o incentivarne la progettualità. L’esiguità degli stanziamenti non è l’unico problema. Desta indignazione l’assenza di un criterio coerente e ponderato di ripartizione dei fondi e il mancato riconoscimento del lavoro dei centri antiviolenza. La maggior parte dei fondi andrebbe, infatti, alle Regioni, che avrebbero il compito di finanziare generici progetti “contro la violenza”. Il rischio è quello di disperdere risorse e distribuire i fondi a soggetti poco competenti, anziché destinarli a quelle associazioni che lavorano da tempo e efficacemente sui territori. Il lavoro di contrasto e prevenzione della violenza maschile contro le donne non si improvvisa: si basa su competenze specifiche, strategie e metodologie di intervento condivise e frutto di anni di esperienza, ricerca e confronto. Un approccio focalizzato sulla donna e sul suo diritto alla autodeterminazione. La lunga storia dei centri antiviolenza in Italia è un cammino politico e teorico, un incessante lavoro di apprendimento, un prezioso laboratorio di elaborazione e raccolta di saperi e pratiche a sostegno delle donne che subiscono violenza. Una superficiale ripartizione di fondi, già insufficienti, rischia di penalizzare il lavoro ormai ventennale delle associazioni, danneggiando così il lavoro delle donne contro la violenza e le donne stesse.