Jobs Act: cosa cambia
La riforma del lavoro proposta dal premier Matteo Renzi continua ad alimentare disordini e discussioni, nonostante la fiducia oramai accordata anche dal Senato con 166 voti favorevoli, 112 contrari ed una sola astensione. L’iter percorso sino a questo punto (approvata la legge delega, siamo in attesa dei decreti attuativi) è stato segnato da numerose polemiche inevitabili, vista la delicatezza di un argomento che tocca il cuore e le viscere dello Statuto dei lavoratori. Lo sciopero generale indetto da Cgil, Uil e Ugl ha riversato un milione e mezzo di persone nelle piazze di 54 città. Una protesta arrivata persino sui ring di Las Vegas con il pugile livornese trentasettenne Lenny Bottai che, nella semifinale dei Superwelter Ibf, ha indossato (rimbalzandola poi sui social) una maglietta rossa con su scritto «NO Jobs Act». Fatto sta che, finché non conosceremo i dettagli dei decreti attuativi con i quali il Governo provvederà a colmare le lacune residue del Maxiemendamento, i dubbi restano molti. Il cuore del provvedimento riguarda una serie di modifiche sull’impianto degli ammortizzatori sociali. Arriva la Naspi: un sussidio di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro, compresi i circa 400mila collaboratori a progetto (a condizione che abbiano lavorato almeno 3 mesi) che oggi non godono di alcun sostegno. Nelle intenzioni dell’esecutivo c’è anche l’idea di aggiungere un assegno di disoccupazione a tutela di chi esaurisce la Naspi: un ulteriore contributo che dovrebbe essere garantito solo a chi si trova in condizioni di effettivo bisogno, le cui risorse andrebbero reperite nella razionalizzazione della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mentre la Cassa in deroga verrebbe progressivamente assorbita nel Naspi. La drastica riduzione della giungla dei contratti di lavoro è un altro importante obiettivo. L’idea è di privilegiare il contratto unico a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Si supera poi l’articolo 18: scompare così il diritto al reintegro per i licenziamenti di natura economica, mentre resta per quelli discriminatori e per alcune fattispecie di quelli disciplinari. Nel primo caso il lavoratore avrà il solo diritto di ricevere un indennizzo di entità proporzionale all’anzianità aziendale e ad una liquidazione più ricca in caso di rinuncia al contenzioso con il datore di lavoro. Una buona notizia per le giovani donne è l’estensione dell’indennità di maternità anche alle lavoratrici che, non avendo un contratto a tempo indeterminato, non potrebbero normalmente usufruire delle tutele ad esso legate, mentre ad ogni lavoratore sarà attribuita la facoltà di cedere parte delle proprie ferie annuali retribuite ai colleghi con figli minori affetti da gravi malattie. Si revisiona anche la disciplina delle mansioni in riferimento alla particolare circostanza del demansionamento (definito quale atto consistente nell’assegnazione di compiti inferiori rispetto alla qualifica di appartenenza del lavoratore o, in casi estremi, anche nel non assegnare alcuna mansione. Può rientrare addirittura nell’ambito di una strategia di mobbing). In particolare si contemplerà l’interesse delle imprese all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, conversione o ristrutturazione aziendale purché non si scada in un mero taglio salariale. Nel Jobs Act compare inoltre l’Agenzia unica federale che sosterrà operativamente lo sviluppo di quella “Garanzia per i Giovani” richiesta dall’Unione Europea ai suoi Stati membri, secondo la quale si dovrà assicurare ai giovani under 30, un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall’uscita dal sistema d’istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione. Tante le iniziative in programma, uno solo il traguardo al quale occorre puntare: scuotere un mercato del lavoro paralizzato da tempo ed offrire risposte realmente accessibili a chi rivendica il proprio insindacabile diritto al lavoro.