Canale Mussolini, work in progress
Canale Mussolini, opera letteraria che è valsa il premio Strega 2010 al pontino Antonio Pennacchi, è un esempio di originalità stilistica e narrativa di eccellente livello. Trasporre codesta maestosità in una pièce non è certamente impresa facile. La rielaborazione teatrale firmata da Clemente Pernarella è in prima istanza, infatti, una vera e propria impresa, e dunque onore al merito di avere avuto il coraggio di intraprendere un tale progetto, soprattutto tenuto conto delle innumerevoli e variegate difficoltà incontrate, e anche superate con determinazione, nel portare a compimento questo grande progetto in una città, come la nostra Latina, che non manca occasione di confermare la sua scarsa attenzione e cura per le dinamiche culturali che pure si muovono autonome. Quindi un primo sincero applauso a Pernarella.Il secondo plauso va alla sua regia per la buona rievocazione delle lontane atmosfere mediante il sapiente utilizzo delle luci e dell’impianto scenografico che, calato nella naturalistica cornice dei giardini del Comune, è stato probabilmente il punto di eccellenza del lavoro presentato. Infatti, nell’assistere allo spettacolo andato in scena dal 30 giugno al 4 luglio in cinque serate di assoluto sold out, al lettore-spettatore qualcosa è mancato. La riduzione teatrale necessaria del testo ha determinato, purtroppo, un’eccessiva frammentarietà sia della storia, cosa che pure era messa ben in conto, ma soprattutto dell’anima del romanzo, che indebolisce la forza dell’idea, forse ancora un po’ fuori fuoco, dell’intero lavoro (si potrebbe rilevare anche l’opportunità di selezionare altre parti del libro, magari più inerenti la storia del colonialismo nell’agro pontino).
Se davvero ci troviamo di fronte ad un esperimento, ad una prima stesura, ad un work in progress che certo è necessario, allora ci auguriamo che il pubblico, utente finale di Canale Mussolini, possa avere il suo piccolo spazio per contribuire con alcuni suggerimenti, ovviamente opinabili, al miglioramento di un tale progetto che viene ‘sentito’ dalla cittadinanza quale collante di un’identità cittadina ancora fragile, come la corposa partecipazione ha testimoniato malgrado il costo non propriamente popolare del biglietto. Detto ciò, il primo aspetto che salta agli occhi è uno stile drammaturgico, curato in stretta collaborazione con Stefano Furlan, poco originale.
Il troppo lungo primo tempo inciampa in alcune discese di ritmo, probabilmente dovute all’impostazione interpretativa molto tecnica degli attori, i quali, pur mostrando una buona preparazione della voce e un adeguato controllo del corpo, appaiono però emozionalmente un po’ piatti, e, nonostante emerga con grande evidenza il divario tra gli allievi più navigati e quelli meno (qualcuno impersona anche più ruoli, come nel caso del convincente Morris Sarra), l’effetto generale è che sono tutti, troppo uguali. Protagonista nella sua tendenziale assenza, salvo alcuni sprazzi, è l’ironia, che è poi l’arma vincente del romanzo. Quella struttura complessa che gioca sulla capacità di raccontare un’epopea con ritmo e leggerezza senza però mortificare il dramma della verità, della storia e quello racchiuso nell’animo dei singoli personaggi, purtroppo non ha avuto giustizia.
Poteva essere allora immaginata, in quest’ottica, una presenza più continuativa del narratore, che apre lo spettacolo ma dopo i primi venti minuti sparisce senza chiara motivazione, e non dalla scena, ma dall’impianto, per tornare solo dopo, nella seconda parte della performance. Ecco, un altro applauso invece va proprio al secondo tempo dello spettacolo, che è totalmente un’altra cosa, quasi fosse una mano diversa alla regia. Complimenti dunque ai tre attori professionisti Melania Maccaferri, Giorgio Colangeli e Marina Biondi, e alla mise en espace stessa che, finalmente, recupera in emotività e intimismo, grazie soprattutto allo spessore degli interpreti che si conferma essere la condicio sine qua non per una teatralizzazione che si rispetti. Si potrebbe ragionare anche sulla possibilità di ‘recitare’ qualche passaggio in più, ma in ogni caso se la seconda parte voleva essere una proposta alternativa di realizzazione rispetto all’infinito primo tempo, sembra decisamente la strada più convincente e congeniale da percorrere per la stesura definitiva del lavoro.
Simona Serino