Aspettando Alba: il carnevale dell’Estate ad Anzio
Aspettando Alba, Sabato 26 e domenica 27 Luglio alle 20.00 presso la Pineta Mazza di Corso Italia ad Anzio, la premiata ditta Fusi & Piraino propone una nuova produzione di teatro canzone, stavolta tutta in dialetto romanesco, tutta basata sulla contraddizione fra lo spirito carbonaro dei romanetti del 1849 e la realtà quotidiana della Roma di oggi, che è divenuta borgata, ovunque. Albina, la Fatina dell’Anagnina, che chiede l’elemosina al capolinea della metropolitana, porta con se il suo piccolo orco Nerone, oramai troppo cresciuto. In un viaggio onirico e surreale attraversano una città in cui l’unica costante è il delirio, la fatica, la miseria culturale prima ancora che economica – ma cantata con un’estrema leggerezza, con un’ironia affettuosa e quasi ingenua, tant’è che il pubblico ride, ride e ride durante tutto lo spettacolo, in cui compaiono altri personaggi mitici: il gigolò Crescenzi, che si è messo a fare il ladro d’appartamenti perché la pubalgia gli ha troncato la carriera; il pigrissimo mafioso Vito Scicolone, che spiega la crisi economica mondiale come solo un esperto par suo può fare; il Conte Lallo, eroe di una generazione di Pariolini travolta dall’infantilismo violento ed umiliante dei loro padri; Warter, fratello tonto e cioccolone, che tutti trattano male, e poi Giulio Andreotti e Daniele de Rossi, che si incontrano segretamente ad un bar di Tor Marancia a guardare il sedere della bella Marilù, Lilletta ed il suo spasimante Mollica, detto la Rumba del Peccato… per finire con il grande cantautore trasteverino di colore, Michele Di Giacomo, in un tripudio di assurdità a metà strada fra Petrolini e Pasolini, fra Alberto Sordi e generazioni di romani che combattono una vita apparentemente insopportabile con il sarcasmo, la battutaccia, la capacità di dipingere la realtà in modo eroico nelle cose più piccole e sordide. Presentando lo spettacolo, Paolo Fusi ha spiegato: “Claudio Villa cantava 50 anni fa: “Mo le regazzette co le polacchette certo nun le vedi più, l’abiti scollati porteno, controluce trasparischeno… senza complimenti, nei caffé le senti de politica parlà, vanno a ogni commizio, chiedeno er divorzio, mentre a casa se sta a diggiunà”. Dire che quella Roma nun esista più è loggico ed esaggerato ar contempo. I romanetti coatti, gnoranti, buzziconi, i Molliconi e Cecetti de noantri, riempiono ancora le strade de la Città Eterna. Le ragazzette vestono diverse, fumeno e ciancicheno na cicca, ma so rimaste le stesse Lillette e Ninette de allora. Cosa è cambiato, allora? Birra invece der vino, come canta Mannarino? Ipad finlandesi invece che chitarre romane? Forse. La disperazione, l’incapacità di uscire dal proprio ghetto culturale e sociale, l’ironia ed il sarcasmo so li stessi. Forse. Pe scoprillo bisogna tornare a ricercare, annà ar fonno de sta Città odiata e amata, ma non come fecero Fellini e Sorrentino, venendo da fora, ma escrescendo da dentro. Noi Romani, pe facce dì che semo quer che semo, ci abbastavano Garinei e Giovannini, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi. I personaggi della borgata pasoliniana se so mischiati cor Pariolino, er Rione Monti è pieno de cinesi che parleno romanesco come lingua madre. Insomma, dovemo ripartì da sotto, ma sotto sotto sotto, da na regazzina pallida ed il suo cucciolone gigantesco e granguignolesco, fra la leggerezza delle pischelle de bona famija e la nostargia dei tempi andati, ma proprio iti, si se capimo”.