Ambiente, Salute e Media: conoscere per comunicare

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Si è tenuto lunedì scorso a Roma, presso la sede della Federazione nazionale della Stampa italiana-Fnsi , un corso di formazione per i giornalisti che ha avuto come tema: “Ambiente, Salute e Media: conoscere per comunicare”. Il corso, realizzato dalla Federazione nazionale della Stampa in collaborazione con l’European Association on Consumere Information – Eaci e l’Associazione italiana medici per l’ambiente – Isde (International society of doctors for the environment), è stato seguito con grande interesse da oltre cento addetti del settore della comunicazione scritta, radiotelevisiva e digitale. Tra i vari interventi particolarmente rilevante quello del dottor Ernesto Burgio, prestigioso ricercatore, pediatra, presidente del Comitato tecnico-scientifico di Isde-Italia e componente del Comitato scientifico di Artac France (Association pour la Recherche Thérapeutique Anti-Cancéreuse) e della rete degli scienziati appartenenti all’Ensser (European Network of scientists for Social and Environmental Responsibility). Il dottor Burgio nel suo intervento su “Inquinamento e gravidanza” ha evidenziato quanto ormai dimostrato da saluteanni dalla letteratura scientifica internazionale, ovvero che proprio l’esposizione materno-fetale a sostanze inquinanti (capaci per le loro composizioni e piccolissime dimensioni di superare le barriere placentare ed ematocerebrale, la membrana cellulare e nucleare e modificare così l’epigenoma) sia la causa di malattie che si svilupperanno nell’infanzia e in età adulta: ben documentata è infatti la stretta relazione con le malattie neurologiche, dello spettro autistico, endocrinopatie – in particolare il diabete di tipo II e l’obesità -, neoplasie, allergie e celiachia. Il dottor Burgio, indicando nella riduzione dell’esposizione a sostanze inquinanti l’unica strategia di vera prevenzione e reversibilità dei danni sull’epigenoma, ha auspicato una sempre maggiore collaborazione con gli operatori dei mass-media per far crescere conoscenza e consapevolezza tra i cittadini al fine di orientare le politiche nazionali e locali verso una sempre maggiore protezione dell’ambiente e della salute. La dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione italiana medici per l’ambiente – Isde (International Society of Doctors for the Environment) ha trattato il tema: “Il caso arsenico: analisi della comunicazione”. Nella sua relazione sono state ripercorse tutte le fasi che hanno cagionato l’esposizione , di oltre un milione di cittadini residenti nelle aree interessate in Italia da questa problematica ambientale e sanitaria a valori di arsenico fuorilegge, che hanno raggiunto e superato in molti casi anche i 50 microgrammi/litro, ovvero cinque volte il limite di legge previsto per questa sostanza tossica e cancerogena per la quale non esiste alcuna soglia di assoluta ed accettabile certezza per esposizioni croniche tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda di porre in atto interventi ed azioni per portare questo valore il più possibile vicino allo zero. Una esposizione durata oltre un decennio ed inconsapevole per la maggior parte della popolazione anche per l’assenza di una corretta e diffusa informazione da parte proprio di quegli Enti ed Istituzioni che avrebbero dovuto provvedervi secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 31/2001. I periodi di deroga, come disposto sempre dal succitato Decreto legislativo, avrebbero dovuto avere anche la durata più breve possibile e comunque non superiore ai tre anni durante i quali si sarebbero dovuti realizzare impianti capaci di ridurre ed eliminare l’arsenico dalle acque e così risolvere definitivamente ed efficacemente questo problema. Nei periodi di deroga, sempre secondo quanto previsto anche dalle disposizione europee – ha ricordato la dottoressa Litta – alle donne in gravidanza e ai bambini (per i noti effetti dell’arsenico anche sullo sviluppo cerebrale – incremento di disturbi neurocomportamentali e neoplasie -) si sarebbe dovuta assicurare acqua con il minor quantitativo possibile di arsenico, sempre al di sotto di 10 microgrammi/litro, meglio se a contenuto zero, e acqua con le stesse caratteristiche avrebbero dovuto utilizzare le industrie alimentari. L’arsenico è infatti classificato dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (I.A.R.C.) come elemento cancerogeno certo di classe 1 e posto in diretta correlazione con molte patologie oncologiche e in particolare con il tumore del polmone, della vescica, del rene e della cute; una consistente documentazione scientifica lo correla anche ai tumori del fegato e del colon. Sempre l’assunzione cronica di questo elemento è indicata anche quale responsabile di patologie cardiovascolari; neurologiche; diabete di tipo 2; lesioni cutanee; disturbi respiratori; disturbi della sfera riproduttiva e malattie ematologiche. L’esposizione ultradecennale e fuorilegge a questa sostanza, insieme alla mancanza di una corretta e diffusa informazione, e insieme alla mancata distribuzione di acqua idonea alle persone e alle industrie alimentari, non è rimasta priva di conseguenze per la salute delle popolazioni in termini di aumento di rischio per cause di morte e malattie correlate all’esposizione all’arsenico, come purtroppo certificato da diversi studi epidemiologici che non hanno fatto altro che confermare quanto già evidenziato da decenni di studi e ricerche internazionali – ha sottolineato la referente dell’Isde – citando studi condotti sulla popolazione del Lazio e in particolare su quella residente nella Provincia di Viterbo. Lo studio “Valutazione Epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da Arsenico nelle acque potabili nelle popolazioni residenti nei comuni del Lazio”, realizzato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio; lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità “Arsenico urinario speciato quale biomarcatore dell’esposizione alimentare all’arsenico inorganico in popolazioni residenti in aree ricche di arsenico nel Lazio”; i risultati dello studio Sepias – Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica – realizzato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio nazionale delle ricerche; e il recentissimo studio “ Valutazione Epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da Arsenico nelle acque potabili: studio di coorte nella popolazione residente nella provincia di Viterbo, 1990-2010” concluso nel 2014 e realizzato sempre dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio che ha dimostrato e di nuovo confermato un gradiente di rischio per cause di morte e malattie al crescere del livello di esposizione all’arsenico nelle acque; in particolare quest’ultimo studio ha evidenziato e riconfermato un eccesso di mortalità per il tumore del polmone, le malattie del sistema circolatorio, le malattie respiratorie e il diabete. A conclusione del suo intervento anche la dottoressa Litta si è unita all’auspicio del dottor Burgio perché si realizzi una sempre maggiore collaborazione ed alleanza tra il mondo scientifico e quello dell’informazione a tutela della salute dell’intero pianeta, di tutte le specie, della specie umana e in particolare a tutela della salute dei bambini e delle generazioni future.


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