Giovani disoccupati: la provincia di Latina maglia nera nel Lazio
Abbiamo bisogno di ripartire e per farlo si dovrà ripartire proprio dal lavoro, che nel nostro territorio, più che in altri, rappresenta un problema drammatico, soprattutto in riferimento alla disoccupazione giovanile, che in provincia di Latina ha superato di slancio la soglia del 40%, con un deterioramento delle condizioni occupazionali che attribuiscono a Latina le peggiori performance a livello regionale. Si è aperto così il 2° Congresso Provinciale Territoriale della UIL, che ha focalizzato l’attenzione sulle incertezze e la precarietà che affliggono il tessuto lavorativo del territorio pontino, causandone una sempre maggiore polverizzazione, soprattutto per i giovani. “Quello che ci angoscia e ci fa rabbia è la consapevolezza che nella nostra provincia abbiamo così tante risorse, ambientali, industriali, turistiche e professionali che, anche senza di grandi investimenti, potrebbero consentirci uno sviluppo programmato dell’economia e del territorio – ha sostenuto Stefano Pasotto il Segretario Provinciale della UILTEMP di Latina – spesso per creare lavoro non occorrono soldi, ma solo buona volontà, convinzione e scelte oculate, che la politica locale e regionale ancora non cogli a pieno”.
L’invasione dei Neet: i giovani senza futuro
Acronimo inglese di “Not (engaged) in Education, Employment or Training”, è un fenomeno sociale sviluppatosi nel Regno Unito più di dieci anni fa e poi diffusosi in questi anni in Europa e nel mondo; interessa la fascia di età compresa fra i 16 e i 35 anni e si può estendere fino ai 65 anni. I famosi NEET non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano, non studiano e non seguono corsi di formazione. I disincantati della società, coloro che non si mettono più in gioco, i demotivati coscienti di vivere all’interno di un gregge sempre più ampio dove forse ‘proteggersi’ al suo interno e dove è diventato quasi impossibile distinguersi. Una visione drammatica, avvalorata spesso dai dati statistici e dai tanti blog, siti e pagine di social network dedicati alle loro angosce e alla ricerca di un qualsiasi impiego. Mi sono imbattuta ad esempio nel blog: 30annidisoccupata dove, un’ironica ragazza, studentessa fuori sede, scrive una lettera al proprio padre dove racconta le sue frustrazioni per non riuscire a trovare un lavoro ed esprime come un torrente in piena i suoi pensieri e le sue emozioni a volte in modo molto diretto e struggente. Per non parlare poi di Facebook con una pagina dedicata ai trentenni disoccupati e precari dove sono riportate bizzarre storie ed esperienze al limite della ‘legalità’. Ebbene sì, si parla anche di legalità proprio perché, se un ‘non giovane’ oggi si mette in testa anche di lavorare, deve necessariamente scendere spesso a dei compromessi ovvero accettare il lavoro a nero o sottomettersi ad estenuanti stage e tirocini privi di retribuzione da parte delle aziende. Lavoratori atipici si chiamano, sono tutte quelle persone che, a vario titolo, svolgono un’attività lavorativa precaria, lavoratori interinali, partite IVA, lavoratori a progetto, nonché disoccupati e, sono tanti. In totale, i giovani disoccupati sono 659 mila. Ciò significa che uno su dieci è fermo: non lavora, non guadagna e non produce. A questi, si deve aggiungere la quota degli inattivi, il 73%, vale a dire quattro milioni 424 mila persone. Un’interessante analisi Coldiretti/Ixe’ su “Crisi: i giovani italiani e il lavoro nel 2014” evidenzia che pur di avere un impiego, un giovane su quattro (23%) accetterebbe un posto da spazzino, il 27% entrerebbe in un call center e il 36% farebbe il pony express. Inoltre, uno su tre pur di lavorare è disposto ad accettare un orario più pesante con lo stesso stipendio (33%) e la maggioranza (51%) è pronta a cambiare città o espatriare. Ma allora questi giovani devono espatriare, abbandonare la loro terra e arricchirne delle altre? Parliamo una buona volta di bisogni del nostro paese? Senza le nuove leve com’è pensabile una risalita? E i nostri coraggiosi vecchi a chi trasmetteranno tutto il loro sapere? Una speranza forse esiste; ricominciamo a sporcarci le mani, torniamo alla terra, nostra linfa vitale, torniamo a riallenare il cervello e a non parcheggiarlo su un divano troppo vissuto e forse potremmo rinascere. Esistono realtà che possono ridarci la speranza. Occorre ricerca, studio e caparbietà. Esiste Alessandra con la sua sartoria d’eccellenza a Latina; esistono Luisa e Silvia con il loro asilo nido familiare, esiste Paolo che ha riaperto la vecchia falegnameria del padre e oggi crea anche mobili su misura… “La generazione dei giovani di oggi vive una condizione unica. Nessuna generazione precedente ha mai avuto un tenore di vita così alto, tanta libertà personale, tanta protezione da parte dei genitori, tanta indulgenza da parte degli insegnanti e tanta attenzione da parte dei media. Ma nessuna generazione è mai stata così drammaticamente dipendente dalla famiglia”. I vecchi mestieri nelle nuove famiglie non sono spesso contemplati e probabilmente questo è un male. Infine da non tralasciare forse il vero disagio occupazionale dove qui la soluzione è ancora più difficile: i poco famosi over 30, ovvero i ‘da poco adulti’ coloro ad esempio che non possono accedere agli incentivi per le assunzioni degli under 29. Sono gli uomini e le donne tra i 30 e i 45 anni che vivono un momento decisivo della loro esistenza: quelli che dovrebbero comprare casa, automobili, fare figli, vacanze, far girare l’economia. E fondamentalmente sono quelle persone che avevano tanti sogni nel cassetto e che dovrebbero cominciare a raccogliere i frutti di anni di studio e di lavoro non pagati.